Abusi sulle donne nella Chiesa: una lettera alla Cei per chiedere giustizia
Aggiornamento: 22 mag 2022
Una lettera alla Cei (Conferenza episcopale italiana) per esigere di far luce su un sommerso di abusi e di violenze, che in Italia viene insabbiato in molti modi, e per dare giustizia e dignità alle vittime: le donne abusate all’interno della Chiesa cattolica. Il firmatario è il Coordinamento #ItalyChurchToo, composto diverse associazioni laiche e cattoliche, professionisti e semplici cittadini e le stesse vittime, la componente più importante, che chiedono ai vescovi di affrontare il problema e di garantire trasparenza, anche nei confronti degli stessi cattolici.
Ad inquadrare il fenomeno degli abusi e a raccontare dell’iniziativa è Ludovica Eugenio, redattrice del settimanale di informazione religiosa Adista e portavoce del Coordinamento.
“A partire dagli anni 2000 è emerso in tutta la sua devastante portata il fenomeno della pedofilia, o pedocriminalità come sarebbe più corretto definirlo, è successo negli Stati Uniti con un’inchiesta del Boston Globe sui minori – spiega Eugenio -. Di violenza sulle donne tutt’ora si parla poco o niente: non si sa degli abusi sulle religiose, sulle donne adulte vicine alla Chiesa e sulle persone cosiddette vulnerabili. Il problema è che ci sono delle dinamiche interne che rendono questo fenomeno molto più difficile da scoprire. Nel caso delle religiose il fattore principale del silenzio è proprio il sistema gerarchico in cui si trovano, sia che si tratti di comunità monastiche il cui sistema di controllo è molto rigido, sia che si tratti invece di comunità con delle regole meno strette. È evidente che per una vittima trovarsi all’interno di una struttura che ha il pieno controllo sulla sua persona è molto complesso decidere di denunciare. Se rimane all’interno della congregazione rischia di non essere creduta, o – un classico - di essere accusata di aver provocato l’abuso da parte del predatore, che generalmente è il direttore spirituale o il prete confessore. Tutto parte come abuso di potere. e difatti, a volte l’abuso, anche solo psicologico, ugualmente devastante, è attuato dalla superiora, in nome della sua autorità. Se, invece, la religiosa decide di uscire dalla struttura ecclesiastica, si trova comunque isolata e solo dopo un lungo percorso di maturazione, di consapevolezza di ciò che ha vissuto e anche di accompagnamento terapeutico può arrivare realmente a una denuncia dell’abuso subito o a immaginare una ricostruzione della propria vita”.
Le suore preferiscono non parlare, ma il problema è reale e non si può chiudere gli occhi.
“Ultimamente è stato pubblicato un articolo accademico in Germania, in cui per la prima volta si parla degli abusi riproduttivi: quelli su donne, anche minori, da parte di preti, che sfociano poi in una gravidanza. L’articolo è veramente impressionante perché squarcia il velo su una realtà ancora più nascosta: la donna abusata viene isolata completamente dalla comunità e dalla famiglia stessa di provenienza, è additata come esempio negativo. Denunciare gli abusi ha un portato molto forte sulla condizione sociale della vittima che rischia anche di subire ricatti e rappresaglie. Oltre al forte senso di vergogna l’abusata non potrà mai rivelare al bambino l’identità di suo padre. A volte capita che sia il prete a spingere all’aborto, e si arriva così ad un cortocircuito”.
Quando per la prima volta è comparso tra le cronache l’argomento abusi sulle religiose?
“Un primo caso si è avuto alla fine degli anni ’90, per un’indagine su due religiose abusate in Africa che denunciavano la situazione. All’epoca, con la diffusione dell’Aids, le religiose rappresentavano una sorta di “bacino di utenza” sicuro per i preti che volevano avere delle relazioni sessuali non a rischio. L’inchiesta molto presto è cascata nel nulla, non c’è stato il supporto di una campagna di comunicazione sociale che potesse dare seguito alla denuncia, e questo la dice lunga su quanto sia complicato riuscire a scalfire certe situazioni, dove vigono dei rapporti molto stretti di dipendenza, anche economica, delle religiose all’interno della comunità”.
Adesso c’è la sensibilità giusta e la volontà di affrontare il problema?
“Le varie inchieste in Europa, negli Usa o in Australia, fatte da commissioni indipendenti, hanno aperto uno squarcio sulla realtà sistemica dell’abuso all’interno delle diverse chiese locali. Uno dei pochi paesi in cui non si indaga è l’Italia, un po’ per l’influenza del Vaticano, un po’ per una cultura propria dell’opinione pubblica, anche laica, che non mette sul banco degli imputati la Chiesa e anche perché la Chiesa italiana ha il terrore delle dimensioni del problema che potrebbero emergere. Gli stessi media italiani difficilmente se ne occupano in modo sistematico e serio. Si parla solo se c’è il singolo caso, a suscitare la pruderie del pubblico e per soddisfare un certo gusto morboso, poi tutto svanisce. Spesso si è molto compiacenti con la Chiesa, anche a livello politico, lo Stato non chiederà mai al clero di denunciare abusi, c’è un sistema di insabbiamento e di copertura strutturale facilitata anche dal Concordato che esenta il clero dall'obbligo di denuncia. Però, anche in Italia cresce lentamente la consapevolezza tra cittadini laici o credenti della necessità di una riforma della chiesa in cui i diritti delle vittime, minori, donne e persone adulte vengano affermati. Ecco come è nato il Coor